UNA STAGIONE SCONOSCIUTA - 2011
Itinerari dei fatti
Nell’agosto 1971 feci un viaggio in Marocco, nel cuore dell’Alto Atlante. Seguii Ariane Bruneton, etnologa che era stata invitata a casa sua da Hassan Jouad, insegnante di berbero all’Istituto di Lingue Orientali a Parigi. Ella vi si recava per studiare le abitudini alimentari del popolo berbero.
La fotografia era un prezioso strumento di cui ci siamo abbondantemente serviti.
Ciò permetteva di fissare facilmente reperti etnografici e al tempo stesso la profonda bellezza che ogni cosa là sembrava emanare. Scoprii mitici paesaggi, un villaggio fuori dal tempo, una comunità di uomini e donne i cui volti erano come scolpiti, legati gli uni agli altri alla vegetazione arida, alle case di terra, agli animmali. Un anno più tardi, di passaggio d’estate a Senigallia, incrociando Mario Giacomelli, di cui ero amico, gli mostrammo alcune foto che lo affascinarono molto. Egli espresse subito il desiderio di poter eseguire nuove stampe nella sua camera oscura con i suoi personalissimi procedimenti mai visti prima.
Ci propose che ciò poteva essere motivo di una mostra insieme a noi due. Ci chiese quindi i contatti e i negativi. Glieli spedimmo dalla Francia ove risiedevamo e qualche mese più tardi ricevemmo tre grandi buste ‘‘TENSI’’ (carta baritata che Mario era solito usare negli anni 1970) che contenevano 110 stampe originali da lui realizzate dei nostri paesaggi e ritratti berberi. In seguito non parlammo più di mostre occupati ambedue nelle nostre attività. Misi accuratamente nella biblioteca del mio studio le stampe di Mario e con il passar del tempo finii col dimenticare la loro esistenza.
Più di trenta anni dopo, nel 2005, dovendo lasciare il mio luogo di vita e di lavoro nel Sud della Francia, preparando gli scatoloni per il trasloco, le stampe di Giacomelli da tanto tempo sepolte sotto pile di libri e cataloghi improvvisamente, come risvegliate dalla loro forza plastica, in un lampo mi riapparvero. Paragonando queste immagini alle foto che avevo fatto sviluppare per mio uso personale mi resi subito conto del rilievo che Mario Giacomelli aveva saputo incidere nella materia fotografica.
L’impronta della forma e il rapporto di contrasto tessuti dal bianco astrale fino al nero ebano mi ispirarono immediatamente. Era da molto tempo che non disegnavo più occupato solo dalla pittura. Ebbi un forte desiderio di tradurre la magica luce fotografica di Mario con i miei mezzi di disegnatore. Realizzai in qualche mese una serie di disegni su grandi fogli di carta ‘‘ARCHE’’ ad inchiostro di China.
The road map of events
In August 1971, I took a trip to the High Atlas, in the heart of Morocco, with ethnologist Ariane Bruneton, who had been invited there by Jouad Hassan, a teacher of Berber language at the lnstitute of Oriental Languages and Civilizations in Paris.
Ariane often went to Morocco to study the eating habits of the Berber people. Photography was the precious tool we had relied on to capture the ethnographic findings and the powerful beauty which surrounded us. I discovered a mythical landscape, an out-of-time village with carved human faces bound to waterless vegetation, earthen houses and animals.
A year later, during a brief visit to Senigallia, I showed my friend Mario Giacomelli some of the photographs. He was so fascinated that he expressed the desire to develop the negatives in his darkroom with his very personal technique. He suggested we organize an exhibition together and asked us for the negatives and contacts. We sent him the material from France, where we lived at the time, and after a few months we received from Mario three ‘‘tensi’’ envelopes (baryta paper that he used in the 1970s), containing 110 original photographs that he had developed from our negatives of the landscapes and Berber people. Both busy in our professions, we didn’t have much of a chance to talk about.
exhibitions any longer. I carefully put away Mario’s photographs in my library and forgot about them with the passing of time. More than thirty years later, in 2005, while packing to leave my hometown and workplace in the South of France, Giacomelli’s prints, so long buried under piles of books and catalogues, suddenly reappeared in a flash as if awakened by their plastic strength.
Comparing his photographs to the ones that I had developed for my own personal use, I was immediately aware of Mario Giacomelli’s exceptional talent in working with photographic material. The form and the relationship between the contrast of the astral whites and deep blacks inspired me straight away. It had been a long time since I had made any drawings, as I was entirely devoted to painting.
I had a strong desire to interpret Mario’s magical photographic light with my drawing skills. After a few months, I had a series of China ink drawings on large sheets of ‘‘ARCHE’’ paper.